A cura di Valeria Lucon.
Carlo Recalcati è Kal di Bibrax, il suo alter ego celtico, e come tale insegna
una arte marziale poco conosciuta basata sulla spada celtica. Antropologo,
fondatore dell’associazione culturale Bibrax che si occupa proprio di storia e
folklore, ex presidente della prima confederazione delle associazioni celtiche
italiane, articolista, consulente storico, è un profondo conoscitore della
realtà culturale celtica nel nostro paese e qui ci parla della sua arte della
spada, la Scherma Aquitana e del celtismo in Italia.
D. Iniziamo subito dalla questione più logica: cos'è la Scherma
Aquitana di cui sei istruttore?
R. E' senza dubbio un'arte marziale, dove per arte è da intendersi un
insieme di tecniche e conoscenze che costituiscono un percorso didattico
completo, in questo caso supportato anche da una filosofia e una
spiritualità originali che sembrerebbero avere radici in tempi molto
lontani qui in Europa. Vorrei precisare che il nome di "Scherma
Aquitana" è apocrifo, in quanto è solo la mia definizione personale di
questo insieme di conoscenze.
D. La definite nelle vostre presentazioni come un arte
tradizionale...
R. Sì, in quanto la struttura filosofica e la cosmogonia che ne stanno
alla base e sulle quali è costruito tutto l'aspetto pratico sono
tramandate di maestro in maestro, da quanto tempo ciò avvenga, però, può
al momento essere solo oggetto di illazioni.
D. E qui veniamo ad un altra interessante questione: quanto è antica
la Scherma Aquitana?
R. Dal punto di vista storico nelle mie ricerche non sono riuscito ad
andare oltre il XVIII secolo, il che lascerebbe ipotizzare che sia nata
in corrispondenza con il sorgere del bardismo e del neodruidismo, nonché
della loro comparsa in Francia. Ma il termine che indica gli istruttori
di questa arte, gli "Athrawon", che per inciso significa "Maestri", al
plurale, deriva dall'Iran avestico dove indicava la casta sacerdotale e
lo troviamo ancora oggi in uso in Galles nel suo significato moderno;
gli Athrawon sembrano inoltre collegati con gli Aweniddyon gallesi del
XII sec. che forse erano i loro corrispondenti insulari, il che può
suggerire una origine molto più antica di queste conoscenze
tradizionali. Ma siamo nel campo delle ipotesi, mi auguro che gli
studiosi possano un giorno fare maggiore luce su questa misteriosa
confraternita.
D. Come sei entrato in contatto con questa tradizione?
R. Durante i miei studi universitari a
Bordeaux mi interessavo già in maniera approfondita della civiltà
celtica e delle sue moderne propaggini, mi capitò così tra le mani un
testo neodruidico, "Les traditions celtiques" di Ambelain, nell’edizione
del 1945, nel quale si accennava a questi Athrawon in quanto guardiani
del Gwenved, il mondo bianco dello spirito, che avevano la funzione di
risvegliare gli uomini attraverso i loro insegnamenti. Cercai di
approfondire l'argomento e, dopo una serie di traversie, arrivai ad
incontrare questo istruttore di scherma/filosofo/taumaturgo, che viveva
nelle Lande di Guascogna, sedicente ultimo Athrawon. Lo frequentai per
qualche anno, fino alla sua morte, e condivise con me ciò che sapeva
degli Athrawon e della loro filosofia della spada.
D. Quindi tu sei l'ultimo depositario di queste conoscenze?
R. No, io ho avuto accesso solo ad una parte di esse, l'apprendistato
Athrawon dura più di un decennio... Assieme a me c'erano altri tre
giovani che praticavano già da molti anni.
D. E che fine hanno fatto?
R. Uno vive ancora sul
Bacino di Arcachon, gli altri due credo siano tornati nei Paesi
Baschi, alle loro località di origine.
D. Hai accennato prima ad una cosmogonia originale...
R. E' senza dubbio la parte più affascinante di questa tradizione, ma
non è questo il luogo per parlarne in maniera estesa. Personalmente la
trovo straordinaria e a tratti sembra perfino precorrere le moderne
teorie cosmologiche sull'universo
olografico. In estrema sintesi descrive la nascita del mondo come lo
conosciamo in quanto "Sogno" sognato da un gruppo di nove divinità, che
antropologicamente vorrei definire totemiche, allo scopo di fornire un
campo di battaglia materiale e spirituale a due grandi forze opposte,
una rappresentante della consapevolezza e l'altra dell'inconsapevolezza.
Questo, ripeto, in estrema sintesi. Le simbologie all'interno di questa
cosmogonia sono numerose.
D. Interessante, e cosa c'entra la spada in tutto questo?
R. E' fondamentale! La spada rappresenta l'anima del guerriero e
l'addestramento al suo uso pratico procede di pari passo con
l'addestramento della sua anima, che va conosciuta, impiegata e alla
fine trascesa come vuole il percorso didattico tradizionale.
L'apprendistato forma un guerriero completo sotto ogni aspetto, marziale
e spirituale, il che ha evidenti effetti benefici su tutta la sfera
dell'individuo e dei suoi rapporti con il mondo. Il fine ultimo, se
vogliamo trovarne uno, è quello di forgiare quei guerrieri che
combatteranno la battaglia finale tra la luce e le tenebre, prevista da
questa tradizione. Più prosaicamente si tratta di dare ai praticanti una
maggiore consapevolezza di loro stessi, delle loro potenzialità e
qualità e di migliorare conseguentemente il loro rapporto con il Cosmo.
D. Quindi si tratta di una vera e propria disciplina marziale...
R. Senza dubbio, oserei dire che si tratta di uno stile di vita, ma
attenzione, l'aspetto ludico di questo percorso didattico è
fondamentale. Nella Scherma Aquitana si ride e si gioca, e parecchio
anche! D'altronde il gioco è lo strumento principe dell'apprendimento.
D. Bene, e tutto questo cosa c'entra con i Celti?
R. Innanzitutto stiamo parlando di un insieme di conoscenze
antico-europeo, che nulla ha a che fare con le arti marziali e le
filosofie orientali, benché vi si possano ritrovare alcuni punti in
comune, inoltre stiamo parlando di un insieme organico di conoscenze che
in termini di simbolismo e mitologia fa diretto riferimento alla
letteratura e cultura celtica, infine in questo insieme non v'è traccia
di credenze cristiane, ma anzi l'enneade divina della sua cosmogonia
ricorda più la religione egizia che qualsiasi mito monoteistico
mediorientale importato in Europa.
Insomma, il contesto storico e geografico è quello celtico.
D. Quindi la Scherma Aquitana fa riferimento all'antico mondo
celtico, ma che rapporti ha con quello di oggi, se esiste?
R. Una moderna cultura celtica indubbiamente esiste, grazie anche alla
continuità storica irlandese, e conta oggi centinaia di migliaia di
appassionati in Europa e nel mondo, si tengono festival celtici perfino
in Giappone! Insomma, è una cultura che esportiamo.
Definire poi in cosa consiste questa moderna cultura celtica è però più
complesso, si tratta della musica di area celtica, di un certo tipo di
spiritualità, di ecologia, di una maggiore consapevolezza delle proprie
affascinanti origini. Una cultura senza dubbio polverizzata in una
moltitudine di piccole realtà associative locali molto attive,
soprattutto in Italia.
La Scherma Aquitana si inserisce nel filone dei rievocatori della
scherma celtica, impegnati in studi e in interessanti forme di
archeologia sperimentale.
D. In che modo si inserisce in questi ambiti?
R. Le tecniche di spada che in origine mi furono insegnate erano, alla
prova dei fatti, la concretizzazione dei contenuti spirituali e
filosofici di questa tradizione; erano pure forme. Evidentemente nel
tempo avevano perso la loro efficacia marziale.
Negli ultimi anni, da quando sono tornato in Italia, ho perciò iniziato
un percorso di ricerca filologica che ripristinasse la reale efficacia
delle tecniche, senza naturalmente svilirle del loro contenuto mistico.
Inoltre si trattava di provare la reale consistenza di questa
tradizione; dal mio punto di vista e forse un po' ingenuamente, se fosse
stata veramente antica allora i suoi contenuti teorici avrebbero dovuto
adattarsi perfettamente ad una scherma storica la più fedele possibile,
diversamente la sua antichità sarebbe apparsa indubbiamente pretestuosa.
Oggi mi sento di confermare che i contenuti filosofici di questa
tradizione si adattano a quanto, al momento, conosciamo dell'arte del
duello del periodo alto lateniano ancora appannaggio della nobiltà
guerriera celtica. Ma naturalmente è solo la mia opinione.
Il confronto con gli studi e le ricerche degli altri gruppi di
rievocazione ci permette di proseguire in questa direzione alla ricerca
di ulteriori conferme.
D. Già, gli altri gruppi. Qual è lo stato della cultura celtica oggi
in Italia?
R. Frammentata, enormemente frammentata. Le iniziative che prevedono
collaborazione continuative sono veramente rare ed esiste una
competizione diffusa, e a mio parere ingiustificata, tra i diversi
gruppi. Sembrerebbe quasi che alcuni individui, una volta svestiti i
panni dell'uomo comune e vestiti quelli del guerriero, druido, artigiano
celta, si trasformino in personaggi intolleranti e presuntuosi, chiusi
fondamentalmente in se stessi e nella loro passione per i celti. Sono
una minoranza, ma la loro diffusione è capillare. Finché non si
comprenderà che è necessario concentrarsi su ciò che ci unisce e ci
identifica, invece che sulle differenze che ci dividono, non si potrà
mai parlare di omogeneità e di una vera corrente culturale. Ciò
nonostante l'ambiente celtico è straordinario, in esso rivivono principi
e valori che non sono più presenti nella cultura occidentale: orgoglio,
onore, fede, ma anche amicizia disinteressata e la consapevolezza di
fare parte di una antica e nobile cultura, tutta nostra.
D. Ora sta parlando il presidente di
Gallia
Cisalpina...
R. Parla soprattutto l'appassionato. Quella della confederazione è stata
una grande opportunità per cercare di dare al mondo celtico nazionale
una voce comune. La confederazione ha richiesto soprattutto al suo
consiglio direttivo, alla segreteria e alla presidenza uno sforzo, anche
economico, e una disponibilità non indifferenti per cercare di
perseguire questi scopi unitari; questo impegno ha dato risultati oserei
dire straordinari presso i media, ma quasi nessun risultato sul fronte
interno. Chissà, forse i tempi non sono maturi o forse è proprio della
cultura celtica di ogni epoca storica essere intrisa di un senso di
indipendenza tanto forte da impedire qualsiasi progetto veramente
corale. Ricordiamoci di Vercingetorige e della guerra delle Gallie.
D. Quindi è stata un fallimento?
R. Assolutamente no! La confederazione si è sciolta in quanto
associazione, ma continua a vivere nei rapporti di profonda
amicizia e stima instauratisi tra i suoi ex confederati; lascia a chi
volesse in futuro tentare di dare nuovamente una compagine ai diversi
gruppi celtici un bagaglio di esperienze, relazioni, collegamenti e
anche errori che sono oggettivamente preziosissimi.
D. Per terminare, qual è il futuro della cultura celtica in Italia?
R. Non posso che esprimere la mia opinione personale, ma sono ottimista.
Quella celtica è una cultura, un modo di vivere e pensare che non
conosce soluzione di continuità da migliaia di anni. E' una cultura
squisitamente europea a cui gli europei di oggi devono moltissimo, anche
se non ne sono coscienti. Auspico una maggiore sensibilità verso le
nostre origini da parte del mondo culturale e accademico, sempre e
troppo incentrato su Roma. I libri di scuola non danno alcuno spazio ai
celti della Gallia Cisalpina, che pure furono gli unici a mettere a
ferro e fuoco Roma nell'antichità e che erano depositari di una cultura
straordinaria, ricca, e molto differente da quella classica. Inoltre
l'occidente soffre di una tale superficialità che non può che uscire
pesantemente sconfitto dal confronto con le culture emergenti come
quella Islamica, Indiana e Cinese. Dobbiamo riappropriarci della nostra
storia e andarne orgogliosi per vincere la sfida della nostra futura
identità. Una civiltà che dimentica la propria storia è una civiltà che
non ha futuro.
D. Asterix in Italia, dunque? Come il titolo della tua intervista su
National Geographic…
R. In qualche modo, sì. Assieme ad altri mille Asterix!
Valeria Lucon, 28 settembre 2007.